Se non ci fosse stato il Bauhaus non ci sarebbe stato design e quindi, come logica conseguenza, non ci sarebbe stata la Apple. E forse non ci sarebbe stato nulla se non particelle combinate fra loro a costituire semplici molecole.

Bauhaus a parte il libro cerca di fare luce su uno degli uomini più influenti e importanti del nostro secolo (a voi decidere se il XX° o il XXI°).

La più incredibile illusione operata dalla Apple, saldando marketing e filosofia, è stata autorizzare i propri consumatori a sentirsi i veri protagonisti della storia, una specie di elite storico-spirituale, sebbene si tratti di un'elite composta da svariati milioni di persone.

Non c'è da stupirsi che all'inizio degli anni ottanta la controcultura fosse in fibrillazione: a tutti fu regalata la promessa che comprando un Macintosh avrebbero potuto cambiare il mondo.

La Apple ha permesso a chi si era perso tutti i momenti cruciali della sua epoca di partecipare ad una battaglia che lo potesse davvero coinvolgere: la battaglia per il progresso, per l'umanità, per l'innovazione. Si trattava però di una battaglia che andava vinta all'interno dei negozi. Come il direttore del marketing Apple disse all'"Esquire! all'inizio degli anni ottanta "tutti noi ci sentivamo come se avessimo mancato l'appuntamento con il movimento dei diritti civili e la guerra del Vietnam. Al loro posto abbiamo avuto il Machintosh".

"It just works" uno degli slogan più fortunati dell'azienda di Cupertino prometteva di coccolare una nazione agitata, confusa e spaventata dalla tecnologia.

Jobs, l'uomo moderno per eccellenza, non faceva ricerche di mercato; tutto ciò di cui aveva bisogno era studiare sè stesso.

Il co-fondatore della AppleSteve Wozniak, ha sempre sostenuto che quel famoso garage svolse un ruolo davvero marginale nella storia della costruzione del primo Mac. "Ho assemblato la magior parte di quel computer nel mio appartamento e nel mio ufficio alla Hewlett-Packard" confidò al "Rolling Stone" nel 1996.

Questi i passaggi che mi sono piaciuti di più.

Al di là del continuo riferimento al Bauhaus, il libro è interessante perchè fa qualche riferimento alla società e alla cultura dell'epoca. Un'epoca che, per chi è nato negli anni '80 e per di più in Italia, non è facile da capire ma permette di contestualizzare al meglio alcuni aspetti della vita e del lavoro di Jobs.

Il libro poteva benissimo intitolarsi: "Biografia di Steve Jobs scritta da un non simpatizzante". Ma avrebbe fatto meno effetto.